Il primo approccio sistematico sul mio lavoro ha inizio negli anni settanta con le ricerche foto-etnografiche sul campo condotte con Giuseppe Bellosi, spinti da interessi personali senza alcuna committenza.
E’ stato un periodo indimenticabile ed estremamente formativo; non di rado le interviste ci hanno rivelato persone qualsiasi capaci di riflessioni da fare invidia a tante menti celebrate.
Nel 1979 abbiamo pubblicato Romagna mia, una ricerca sulla mistificazione del folclore in Romagna, non sempre vista di buon occhio.
Alla fine degl’anni ottanta, gli impegni di lavoro di Bellosi e la mia insofferenza verso una percezione nostalgica del passato hanno fermato, dopo vent’anni di intensa attività, le nostre ricerche.
La parte foto-etnografica del mio archivio consiste in circa 12000 immagini sui vari aspetti della cultura popolare Romagnola.
Successivamente ho rivolto il mio interesse verso il linguaggio fotografico contemporaneo frequentando anche fotografi rinomati senza peraltro ritenermi allievo di qualcuno in particolare; ho sempre guardato a tutti coloro che mi sono capitati a tiro, persino a quelli che non mi piacevano perché comunque mi chiarivano ciò che non volevo fare.
Ho speso una fortuna nell’acquisto di libri di fotografia che ho smesso di prestare.
Posso dunque affermare di essere allievo di svariate decine di “maestri inconsapevoli”, non solo fotografi.
Penso che la fotografia sia un ottimo esercizio per imparare a vedere.
John Szarkowski sosteneva, a ragione, che è un modo per descrivere “come sembrano le cose”; l’ambiguità positiva che ne consegue, insinua il dubbio, spinge ad approfondire, a leggere tra le righe, a porsi delle domande, pertanto necessita di una “credibilità” esente da manipolazioni.
Non c’è niente di più ambiguo di un’immagine “somigliante” alla realtà.
Preferisco realizzare i miei progetti direttamente da ciò che vedo, senza ricorrere a scenari predisposti evitando effetti speciali e forzature compositive.
Rendere interessante ciò che apparentemente non lo è resta un impegno costante; occorre, allo scopo, lo sguardo lento di chi cammina senza fretta (Robert Walser, Peter Handke, Dino Campana), ben diverso da quel poco che vediamo scorrere dal finestrino delle nostre auto, assunto ormai quale punto prevalente di osservazione.
Non sono attratto dagli eventi, lavoro “a gioco fermo”, al riparo dalle emozioni del momento.
Un’inquieta curiosità mi spinge a cercare sempre qualcosa di diverso, senza trascurare, all’interno di ogni singolo lavoro, la dovuta coerenza formale e progettuale, pertanto, ogni volta, devo rimettermi in gioco su percorsi inconsueti e insidiosi ma allo stesso tempo stimolanti.
Non temo i fallimenti: anche senza raggiungere la meta raccolgo esperienze strada facendo.
Proporre alternative non è una sfida rivolta a qualcuno, è semplicemente la mia idea di ricerca.
Nel mio lavoro voglio illudermi di agire liberamente pur sapendo di inseguire un’utopia.
Ho pubblicato una quindicina di monografie; alcune resistono stoicamente a un’autocritica feroce.
Ho dedicato, in passato, una parte consistente del mio tempo ad esporre opere di altri fotografi, proponendo anche giovani agli esordi, che in seguito, per alcuni di loro, sono arrivati traguardi importanti.
Amo confrontarmi con autori interessati ad altre forme di espressione, prevalentemente in campo letterario.
Queste considerazioni provengono da esperienze personali e non ambiscono a dettare regole o soluzioni.
Sensibilità e tecniche diverse portano a risultati diversi: dove non c’è diversità prospera la noia.